“Biondo era e bello” di Mario Tobino - di Irene Bortoluzzi

Tema sul libro “Biondo era e bello” di Mario Tobino
Mario Tobino racconta in questo libro la vita di Dante Alighieri, in una Firenze in continua lotta per il potere.
Dante nasce nel 1265, cresce privo di affetti ad eccezione della sorella maggiore e da adolescente inizia ad avere i suoi primi amori e si appassiona alla scrittura. Scrive a Guido Cavalcanti, di cui è un grande ammiratore e ben presto ne diventerà fedele amico.
Pubblica la “Vita Nova”, di prose e poesie e si fa subito riconoscere, in più frequenta assiduamente i suoi amici, che lo apprezzano per la sua capacità nel conversare.
Entra in politica, lotta per la giustizia ed è padrone di grandi comizi. Infatti, scriveva e parlava in volgare, lingua che lo affascinava tantissimo, la lingua del popolo, con la quale avrebbe potuto esprimere ogni suo pensiero. Si sposa poi con Gemma Donati per volere dei genitori e la famiglia pian piano si allarga. Perde il suo amico Cavalcanti, esiliato, morto a causa della malattia.
Da qui inizia ad avere dei nemici in politica, trai i quali Corso Donati, alleato del papa Bonifacio, che consegna il potere ai Neri e costringe i Bianchi ad allontanarsi da Firenze.
I Bianchi e i ghibellini decidono di tornare assieme nella loro città ma ricevono una grave sconfitta nella battaglia di Pulicciano.
Nel 1303 muore Bonifacio VIII a causa di Filippo il Bello, re di Francia. Egli, l’unico a non assecondare il papa, e difatti da lui preso di mira, dopo aver sentito la notizia che Bonifacio aveva intenzione di nominare imperatore Alberto d’Austria e quindi di nominarlo capo di tutti i re, decide di vendicarsi e di istituire un processo contro di lui. Bonifacio era nel suo palazzo di Anagni e Filippo inviò da lui Nogaret, affinchè lo avvertisse del concilio. Ovviamente il piano era un altro e la notte del 6 settembre Nogaret e circa ottocento uomini assediarono il palazzo e lo saccheggiarono ma non toccarono il papa. Dopo tre giorni di saccheggio tutti si pentirono e il papa morì pochi giorni dopo. Era nata una speranza in più per i bianchi.
Eletto il nuovo papa Benedetto XI, a Firenze nel 1304 arriva il cardinale paciere Niccolò da Prato, incaricato di portare “la pace” e subito accolto dal popolo. Riesce a convincere i Neri  ad accogliere i Bianchi e i ghibellini esiliati. Sono nominati 12 rappresentanti per gli esiliati (scelti anche dallo stesso Dante, che era ad Arezzo) e 12 per i Neri. Ma questi non avendo nessuna intenzione di dividere il potere distraggono il paciere e provocano un incendio ai magazzini dei Cavalcanti. I Bianchi dopo poco tempo tentano di rientrare a Firenze con le armi ma il giovane Baschiera della Tosa rovina il piano e vengono sconfitti. Intanto il nuovo papa muore avvelenato, i Bianchi di nuovo esiliati sono tutti contro Dante che si ritrova solo. Ha trentanove anni e pochi soldi, con un piccolo prestito riesce a partire per un viaggio con la voglia di approfondire i suoi studi.
Arriva a Verona e riceve ospitalità dagli Scaligeri e inizia a scrivere i primi versi dell’Inferno.
Decide di cambiare città perché gli manca l’ispirazione, si reca a Bologna invitato dal suo amico Cino da Pistoia, anch’egli esiliato. In questa città non è più accolto come una volta ma con Cino ripercorrono con la mente i ricordi degli anni passati.
Si reca poi al castello di Fosdinovo, invitato dai marchesi di Lunigiana per risolvere una questione con il vescovo di Luni. Dopo giorni di trattative il 6 ottobre 1306 c’è la cerimonia ufficiale durante la quale il vescovo Alberto dei Camilla gli dà il bacio della pace.
Lasciato il castello giunge alla Corte dei conti Guidi, nel Casentino, dove fa incontri interessanti con personaggi legati alla Commedia. Qui si innamora, nonostante sia sposato e abbia quattro figli e, consapevole della sua comprensione, lo confida a Moroello.
La sua Firenze è sempre più lontana, è a Parigi allo Studio (un’Università celebrata) per scrivere il Paradiso, il terzo cantico. Scopre però che l’imperatore tedesco Arrigo VII sta per arrivare in Italia per portare la pace, per far si che non esistano più tutte le divisioni e fazioni. Dante subito si riempie di speranza, vuole tornare e contribuire con le sue forze. Provvede scrivendo una lettera ai potenti d’Italia.
Arrigo esita qualche tempo prima di muoversi. Finalmente parte da Savoia. Nel novembre 1310 arriva ad Asti, accolto calorosamente, poi a Casale, Vercelli, Novara, Magenta, Milano. Ma Dante è tormentato dal dubbio che a Firenze non ottenga lo stesso risultato, i Neri hanno tutto il potere e le idee molto chiare. Cremona e Brescia fanno perdere del tempo. Pisa, essendo ghibellina, è fedelissima all’imperatore. Siamo nell’aprile 1312, Arrigo si sta avvicinando. A settembre dello stesso anno arriva con il campo vicinissimo a Firenze ma è costretto a tornare indietro. Anche Dante è a Pisa e frequenta la casa di Petracco, dove il bambino Petrarca lo ammira e osserva. Nell’agosto 1313 l’imperatore muore a causa della febbre a Buonconvento, Siena. Non ci sono più speranze, Dante si reca a Ravenna presso un signorotto, Guido Novello da Polenta.
Il 29 agosto 1315 a Montecatini, i Guelfi, che avevano tanto esultato, sono sconfitti dai Ghibellini. A Firenze c’è smarrimento. Dante riceve un invito a tornare a Firenze ma lui non accetta le condizioni. Viene condannato allora al taglio della testa.
A Ravenna è in una casa donatagli da Guido Novello con la sua famiglia. La moglie Gemma, i figli ormai diventati uomini e poi la figlia Antonia, che rivela al padre di volersi fare suora con il nome di Beatrice. Dante sta scrivendo il Paradiso. Guido Novello diventa compagno di tante serate.
Quando viene dichiarata guerra a Ravenna Dante offre il suo aiuto ma la malattia lo frena.
Torna dalla sua famiglia a Ravenna, che ormai è la sua patria.
Nella notte tra il 14 e il 15 settembre 1321 muore.
Irene Bortoluzzi 3A

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